Il 1978 è uno degli anni cruciali della storia Italiana sotto il profilo delle conseguenze che vediamo ancora oggi.
È il 24 maggio quando Lama annuncia per conto del sindacato che i
lavoratori dovranno accettare di immolarsi sull’altare della crisi
economica e nello stesso anno viene definito il negoziato sull’ingresso
dell’Italia nello SME e a dicembre condotto il voto decisivo.
In questo voto cruciale per la storia della Repubblica, alcuni degli
attuali sostenitori delle successive devoluzioni di sovranità sono, a
ragion veduta, su posizioni diverse e contrarie. Tra questi il Direttore
de “La Repubblica”, Eugenio Scalfari, e l’attuale Presidente della
Repubblica, Giorgio Napolitano.
Spaventa pronuncerà il suo atto di accusa (per molti versi simile al
recente dissenso manifestato da Cofferati verso il TTIP): un “trattato
ineguale” geneticamente portato ad affermare gli interessi delle potenze
dominanti. Tra l’altro Germania e Francia non avrebbero di certo potuto
raggiungere un intesa amichevole nello spartirsi le rispettive aree di
influenza economica.
«Quest’area monetaria rischia oggi di configurarsi come un’area di bassa
pressione e di deflazione, nella quale la stabilità del cambio viene
perseguita a spese dello sviluppo dell’occupazione e del reddito.»
Tra gli scenari proposti da Scalfari all’epoca, la resa dei sindacati
sull’indicizzazione e perdita di potere di acquisto in termini reali dei
salari si verificherà puntualmente. Ma si verificherà anche quello che
porterà alle frequenti crisi valutarie degli anni seguenti, inclusa la
perdita di competitività e di quote sul mercato estero delle imprese
industriali italiane. Caduta della bilancia dei pagamenti, pressioni sul
cambio, perdita di riserve valutarie, restringimento della circolazione
interna, innalzamento dei tassi di interesse. Seguiranno aumento della
disoccupazione e discesa del reddito con conseguenti ripercussioni sulla
domanda interna. Alla fine l’ “abbandono dello SME” sarà comunque
inevitabile e avverrà nel 1992.
Tuttavia il 13 dicembre Andreotti annuncia in aula di aver ricevuto
forti pressioni da francesi e tedeschi fino alla minaccia di non attuare
del tutto lo SME se l’Italia non fosse entrata subito. A fronte di
questo ricatto morale al Parlamento viene chiesto di non indugiare oltre
e, nonostante il lucido discorso del futuro Presidente della Repubblica
secondo cui “la resistenza tedesca a dare garanzie economiche per il
riequilibrio interno della Comunità imporrà una linea di rigore a senso
unico e di tagli ai salari”, il voto sancisce la scelta epocale di
rinunciare all’indipendenza monetaria, praticamente senza aver ottenuto
nulla al tavolo delle trattative.
Ne pagheremo le conseguenze a suon di menzogne, ricatti e ulteriori
estorsioni: 1981 divorzio Banca d’Italia-Tesoro, 1990 irrigidimento
dello SME, 1992 vincoli di bilancio del Trattato di Maastricht, 1998
moneta unica, 2012 pareggio di bilancio. A seguire la continua richiesta
di riforme strutturali. Tutto senza contropartita alcuna e in nome di
un mercato unico dominato solo dalla concorrenza.
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