Data: Lunedì, 18 dicembre 2006 alle 12:44:58 CET Argomento: Scuola
Una parte delle famiglie italiane, in questo periodo, si trova a dover scegliere il tipo di scuola superiore per il figlio/a frequentante attualmente la terza media; qualcuno di loro ha rivolto anche a me la stessa domanda, pur nella coscienza che, comunque, alla fine avrebbe assecondato il figlio nelle sue scelte qualsiasi esse fossero.
In effetti, in tal modo, si evita di vedersi addossate colpe in caso di cattiva riuscita scolastica, ma pretendere che a 14 anni si possa scegliere con cognizione di causa è quantomeno utopico.
Fortunatamente per loro, questo genere di scelta non ha conseguenze radicali, sia
perché l’attuale ordinamento di studi fa ampio uso di “passerelle” per chi voglia
modificare in seguito il suo orientamento, sia perché, in fondo, tutte le scuole si
equivalgono (in teoria).
Allo stato attuale delle cose, infatti, i fondi (pochi) sono, pro capite, più o meno
equivalenti; gli insegnanti vengono assegnati sulla base di graduatorie basate
sull’anzianità di carriera; le difficoltà del curriculum sono state praticamente
azzerate dalla pratica dei corsi integrativi e da un esame finale equivalente a
quello di terza media di un tempo: commissione interna, due scritti, ricerchina
interdisciplinare.
Così, dal punto di vista di un ragazzo, la scelta avviene in base al criterio di
prossimità inversa della scuola (meglio lontano dagli occhi dei genitori) e di rapporti amicali (mantenere unito il gruppo).
In effetti, in tal modo, si evita di vedersi addossate colpe in caso di cattiva riuscita scolastica, ma pretendere che a 14 anni si possa scegliere con cognizione di causa è quantomeno utopico.
Fortunatamente per loro, questo genere di scelta non ha conseguenze radicali, sia
perché l’attuale ordinamento di studi fa ampio uso di “passerelle” per chi voglia
modificare in seguito il suo orientamento, sia perché, in fondo, tutte le scuole si
equivalgono (in teoria).
L’idea che la scuola debba fornire istruzione, possibilmente ai fini di un
inserimento lavorativo (studio come investimento), non passa ormai più nelle
menti di nessuno; infatti tutti sanno (o percepiscono) che le conoscenze che
contano, ai fini economici, sono quelle delle persone “giuste”, che devono già
essere nell’ambiente familiare, e non certo le conoscenze intellettuali che
dovrebbe fornire la scuola.
Questo italico sistema di “padrinato” ha come conseguenza che quando Agnelli o
Berlusconi devono farsi visitare vanno negli USA, non perché, come affermava
Agnelli, qui non ci siano bravi medici, ma perché o non si sa dove sono o non sono
supportati da una struttura adeguata.
Naturalmente quello che vale per i medici, vale anche per qualsiasi altra
categoria professionale, insegnanti compresi, per cui una scelta ponderata della
scuola (o clinica o studio, o università o qualsiasi altra cosa) in Italia è
impossibile.
Allora, per tornare al punto di partenza, che consiglio si può dare a un giovane,
sapendo che, proprio perché giovane, non lo seguirà: quello di scegliere non tanto
la scuola, ma il modo di fare la scuola.
Vale a dire non accontentarsi del poco che gli verrà richiesto, ma utilizzare ogni
possibilità (qualche bravo insegnante, i laboratori, le biblioteche, le attività
integrative) per svolgere un suo personale lavoro di approfondimento che gli
permetterà, una volta ultimati gli studi, di andarsi a cercare una opportunità
fuori dall’Italia.
Paolo Giatti