Impressioni dell’undici settembre

Data: Sabato, 13 settembre 2003 alle 08:01:00 CEST
Argomento: Attualità
Non so se la storia si ripeta, per il poco che ho visto, spero di no. Le date però si ripetono ogni anno e non si possono evitare, specie quando ti ricordano un po’ della storia che ti è capitata sotto gli occhi…
Non so se la storia si ripeta, per il poco che ho visto, spero di no. Le date però si ripetono ogni anno e non si possono evitare, specie quando ti ricordano un po’ della storia che ti è capitata sotto gli occhi. Alle otto e quarantacinque di due anni fa stavo compulsando il dodicesimo libro dell’Iliade per insegnarlo alle undici. Poco dopo mi telefonò mio fratello chiedendomi notizie. “Non hai ascoltato la radio?” “Sì, stamane alle sei; ora sono le nove e tre quarti…” Mi accostai alla finestra e a sud, dietro i palazzoni vicino al porto, c’era un’enorme nuvola di fumo nerastro. Stamane ero seduto allo stesso tavolo e compulsavo una tesi di dottorato. Avevo tenuto accesa la radio a colazione: non ci sarebbero stati né Bush né Cheney alle funzioni commemorative, non c’erano allarmi di nessun colore. Parlano invece i familiari delle vittime, che finalmente si decidevano a confessare il loro disagio alle agenzie speciali di recupero psicoterapeutico, dopo due anni riuscivano a confessare la loro solitudine e a viverla fino in fondo. Una di queste agenzie era stata fondata da un sopravvissuto agli attacchi che in seguito aveva lasciato il lavoro: un agente di commercio, che di fronte alle macerie e ai morti aveva preferito non continuare a vendere altrove, ma prendersi cura di chi gli stava attorno, degli altri sopravvissuti, dei traumi e della loro solitudine. E allora ecco gli utenti al microfono, che ormai hanno formato i loro gruppi di amici che si sostengono a vicenda e si ritrovano in casa, in riva al fiume o al parco a passare la domenica o allo stadio a vedere gli Yankees giocare a baseball. (“Where have you gone, Joe DiMaggio, this nation turns its lonely eyes to you…”) Un minuto di silenzio per ricordare i morti mentre si sentono alla radio i rintocchi delle campane; mi lascio commuovere anch’io, mi sembra giusto.
La giornata continua: la tesi, la discussione, la cena coi colleghi da Mezzogiorno, un ristorante downtown con un padrone colto e simpatico, le pareti fitte di opere d’arte contemporanea e i soffitti tappezzati da gigantografie di paragrafi dai diari del Pontormo (era un ritrovo di galleristi). Quando usciamo è notte e nel cielo di New York si stagliano due enormi fasci di luce bianchi, quasi paralleli, che convergono in una macchia grigia sulla volta delle nuvole di settembre. “Avrebbero dovuto lasciarlo sempre per ricordare”, commenta Vittorio, il padrone di Mezzogiorno; sono d’accordo e lo dico. Il mio collega D’Acierno ci da un passaggio in decappottabile col tettuccio abbassato; fa un po’ freddo, ma è bello vedere gli alberi e le case di Sullivan Street. Dietro due isolati scorgiamo la batteria di fari puntati al cielo che mandano i fasci di luce; corro il rischio di lasciarmi commuovere, ma sono in pubblico e in macchina. Poi, appena svoltato l’angolo, appare Ground Zero: è ancora un enorme cratere illuminato, dove non si sa ancora bene cosa crescerà. Mi alzo in piedi e guardo e forse riesco a commuovermi, visto che in macchina stanno tutti seduti e non mi vede nessuno. Poi ci allontaniamo, ma dal tetto aperto si vedono sempre le due colonne bianche di luce che ci perseguitano a ogni angolo; bisogna ricordare, ricordare per non ripetere, perché la storia non si ripeta più.
Vorrei portare con me in ogni angolo del mondo l’immagine delle due colonne bianche di luce. Ci crediamo tanto solidi e invece siamo così fragili, così pronti a svanire in un fascio di energia, e duriamo sempre troppo poco. Allora conviene stare bene insieme quanto si può, al lavoro e a casa, al cinema e allo stadio. Ne sono morti tremila nelle Torri Gemelle, ai sei miliardi e novecento novantanove milioni e novecento novantasette mila di sopravvissuti l’augurio di star bene e di saper convergere tranquilli in un punto anche infinito del cielo, come le colonne commemorative di stasera, che ti seguono dovunque tu vada, come una festa mobile.

Andrea Malaguti

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