Farenheit 9/11, il nuovo film di Michael Moore

Data: Martedì, 20 luglio 2004 alle 18:27:08 CEST
Argomento: Cinema
Eravamo tutti stipati al cinema ieri sera. Tutti aspettavano l’uscita dell’ultimo documentario di Michael Moore, “Farenheit 9/11”, basato su materiale d’archivio ritrovato e rimontato. Michael Moore compare all’inizio, fuoricampo, mentre cerca di rivolgersi a un neoeletto presidente George W. Bush circondato dalla folla. “Comportati bene” risponde Bush “e vatti a cercare un lavoro”, che, in una cultura pragmatista come quella americana, è peggio che mandare qualcuno a farsi friggere, per così dire.
Per quanto giudicata tendenziosa (George W. Bush legato a doppio filo agli interessi dell’Arabia Saudita, tradito dall’ex-socio in affari Osama Binladen e artefice della guerra in Irak — più sanguinosa di quella in Vietnam – solo per mettere le mani sul petrolio) la tesi di Michael Moore è difficile da smontare. Sono troppi i documenti e i fatti riportati per poter sollevare obiezioni ragionevoli. Anche i machiavellici difensori della “ragion di stato” si trovano di fronte a una difesa esasperata degli interessi non delle nazioni, ma dei gruppi di potere che le scavalcano e le usano.
Difficile non commuoversi di fronte alle vittime del carnaio crudele della guerra, al sangue e ai corpi martoriati delle vittime, all’odio comprensibile di chi subisce l’occupazione (lo ammette, col suo solito mezzo sorriso idiota, anche Bush), o al
dolore dei congiunti dei soldati a casa, incollati e tremanti davanti ai notiziari, che alla fine si sentono arrivare la telefonata di condoglianze del ministero della difesa. Difficile non indignarsi di fronte alla compiacenza dei parlamentari e dei gruppi industriali, che al congresso sulla ricostruzione parlano di progetti miliardari e fanno capire quale sia stato i vero scopo della guerra d’invasione in Iraq (liberazione, dite voi? Scusate: è stato un lapsus freudiano, non mio, però, ma di un dirigente industriale nel film).
Ciò che però da i brividi è imparare che i soldati americani, mentre facevano saltare le case dei CIVILI a colpi di bazooka e lanciafiamme, venivano storditi di continuo dalla musica rock assordante e ad alto volume che attraverso una cuffia interfono che non potevano spegnere urlava:
bum thè motherfucker bum thè motherfucker
“Bruciailchiavamamma”. Ecco a cosa serve il rock duro, l’heavy meta! Ecco a cosa servono i videogiochi alla playstation: a trasformare la gente in macchine acefale pronte all’azione, a far carname del prossimo a seconda degli ordini superiori. Proibito piangere: dopo il carnaio si canta la marcia di Topolino, come in “Full Meta! Jacket” (e taccio per decenza sui trascorsi politici di Walt Disney).
Nel giornale scientifico della mia associazione professionale (“Publications of thè Modern Language Association of America”) un articolo a difesa della dignità letteraria della fantascienza ha come tesi principale che già viviamo nei mondi immaginati da Orwell, Huxley e Vonnegut, specie dall’undici settembre e dal marzo 2003, quando è cominciata l’offensiva. Niente dei nostri gusti e delle nostre abitudini sfugge al controllo di chi ci vuole in pugno, pronti all’azione e al sacrificio per riempirsi le tasche pagando coi nostri morti. Il fascismo non ha più bisogno di berrettoni e adunate: gli bastano i giochi a premi, gli ammazzasette pronti a tutto di “Survivor” negli Stati Uniti, le tette alla “Domenica Sportiva” in Italia.
Un tempo mi ponevo (e me li ponevano gli altri) problemi di identità e di appartenenza culturale: qui o lì? Ormai la differenza è poca: entrambe le nazioni hanno messo gli interessi dei grandi gruppi finanziari al governo, vuoi per malriposta ammirazione vuoi per cinica aspettativa di una ricompensa. (“A far al compagno a n’as ciapa gnent”, mi avvertiva simpaticamente un ex-consigliere di Forza Italia la sera di lunedì 13 giugno, mi avrebbe però egli ricompensato per -mettermi dalla sua parte? ) E’ successo a Massimo Cacciari, a Lucio Colletti, a Paolo Guzzanti, a Giuliano Ferrara…) La differenza è forse che qui, nonostante il Patriot Act, ho visto il film di Michael Moore (che però nessuno voleva distribuire), leggo il “New York Times” e qualche libro controverso di “Verso, London” lo trovo anche in libreria; lì, invece, anche Feltrinelli è diventato un bottegone insensato e senza mordente e gli articoli di Michael Moore e del “New York Times” debbo cercarli nel “Manifesto”. E sì che non sono comunista e non lo è nemmeno Michael Moore. Ma guarda a chi debbo dare i miei soldi… Ma guardi un po’ cosa mi costringete a fare, caro il mio simpatico ex-consigliere di Forza Italia…

Andrea Malaguti

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