Allouin

Non ho mai avuto idea delle origini del carnevale macabro di fine ottobre a base di maschere e zucche scavate che gli americani chiamano Halloween e che ormai, come qualsiasi cosa americana, è conosciuto in tutto il mondo. Chiaro, abitando in un paesino di trentamila abitanti più venticinquemila studenti, è chiaro che ieri sera, passeggiando per Main Street (qui non ci sono piazze), ho visto diversi plotoni di giovani mascherati. Per i giovani ogni occasione è buona per far festa; ed è giusto così. Io, a dire il vero, nemmeno alla loro età amavo le mascherate e meno che mai quelle dell’orrore. Ieri sera abbondavano i veli neri, le teste bianche di cera, le maschere da scheletro e il trucco da testa di morto (con tanto di ossa ecc.). Confesso: anch’io avevo una benda nera all’occhio destro, ma solo per rilassare l’occhio dal dolore di un orzaiolo fastidioso che mi stanca da martedì scorso (oggi duole meno) e, togliendomi la convergenza dello sguardo, mi ha fatto rinunciare alla partita al biliardo del bar (ma non alla birra).

Confesso che rimpiango le vecchie denominazioni italiane: i Santi e i Morti (e l’adorabile Livella di Totò). E poi, l’autunno qui è bello di giorno. Le foglie diventano gialle, rosse, arancione e finché qualcuna rimane ancora verde la campagna si trasforma in un carnevale di colori. Il tempo è ancora mite e forse (forse) c’è da temere un inverno nucleare; ma visto che non posso farci gran che, almeno esco in bicicletta (che inquina sempre meno dell’automobile) e vado per la ciclabile dietro casa, il Norwottuck Rail Trail. Di solito arrivo fino a Hadley e salgo sull’argine del Connecticut all’ansa di West Street, che mi ricorda tanto quelli del Panaro e del Po. Oggi, però, scendendo dalla scarpata, invece di tornare subito a casa, ho girato a destra per una laterale chiamata Cemetery Road; c’ero stato altre volte e avevo visto un altro banchetto fiduciario di frutta e verdura (cf. “Come le lucciole” dell’ottobre 2012) e un piccola casetta di quattro stanze che, in altre condizioni finanziarie, comprerei senza pensarci due volte. Oggi mi sono spinto un po’ più avanti e alla mia destra ho trovato quello che il nome della strada prometteva: il cimitero.

È un bel cimitero di campagna, all’inglese: poche lapidi grigie, ben distanziate, alte al massimo ottanta centimetri e con più di un nome, e tanta erba attorno. Niente fiori o lumini; solo qualche bandiera americana (per i caduti in guerra, penso). Mi ci trovavo bene, in pieno sole, e passeggiavo volentieri, bicicletta a mano, per il vialetto a ferro di cavallo che andava da un’uscita all’altra. Sulle tombe più grandi c’erano più membri di famiglia, di cui non ricordo i nomi, ma solo le date: il padre (1841-1901), la madre (1846-1912) e il figlio (1875-1961, la stessa generazione del mio bisnonno). E pensavo che il padre, morto comunque presto, magari era stato coscritto durante la Guerra di Secessione, che la madre aveva visto le prime automobili e il figlio aveva conosciuto le grandi immigrazioni e le due guerre mondiali e quella in Corea. E pensavo che l’idea del ritorno dei morti viventi, degli zombie violenti e aggressivi, è solo il precipitato di un nostro senso di colpa.

Se i morti potessero tornare, probabilmente avrebbero solo voglia di parlare dei loro ricordi, magari seduti a tavola, senza disturbare troppo. O magari ci vengono a dire che ci arrabattiamo tanto e sbagliamo tutto. Lo so, lo so: la prima idea viene da una poesia di Giovanni Pascoli dai Canti di CastelvecchioLa tovaglia, la seconda dal terzo atto della nota commedia di Thornton Wilder Piccola città, che è proprio ambientato qui nel Massachusetts, in un posto chiamato Grovers Corner che non ho ancora visto (ma ce ne sono tanti così). E forse hanno ragione entrambi. Però oggi, leggendo le date della famiglia di cui dicevo, mi sarebbe piaciuto ascoltare le loro storie, vedere come avevano vissuto certi momenti della nazione e della vita; però, in barba a Halloween, non mi potevano fare visita da morti, anche se io ero lì da vivo. Averli conosciuti un tempo, magari; ma il figlio era già morto quando io sono nato e comunque è già tanto la nostra vita, quello che abbiamo visto e che vediamo, chi abbiamo conosciuto e conosciamo. Poi mi sono guardato intorno: i campi di Hadley sono molto belli, ampi, e alcuni sono tenuti bene come giardini; e c’è ancora qualche foglia gialla sugli alberi. E poi ho inforcato la bicicletta e sono tornato a casa.

No, niente lanterne macabre: con le zucche, mei faragh’ di caplazz.

http://americalbar.blogspot.com/2015/11/allouin.html

Nota: gli altri articoli di Andrea Malaguti (scritti per Bondeno.com) li trovate qui col tag A.M.

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