Giordano Romagnoli

Quando si diffuse in città la notizia che non avremmo più rivisto Giordano Romagnoli – l’instancabile maestro di lettere classiche per intere generazioni di studenti, il generosissimo amico sempre disponibile ad ogni occasione, l’ironico affabile conversatore con cui era delizioso evocare un volto scomparso o un episodio di cronaca lontana – parve a molti che fosse venuto a mancare un essenziale elemento dell’esistere quotidiano. Una ben giustificata impressione anche al di là della cerchia di coloro che da qualche tempo lo sapevano colpito da un male inesorabile, e che erano tornati dalle ultime angosciose visite quasi incitati alla rassegnazione dalla sua forza risoluta e tranquilla, senza lamenti. Giustificata soprattutto perché appariva ben chiaro o palese, come la risoluzione d’un difficile problema (o come la traduzione immediata e limpida, in lui tanto caratteristica, di uno di quegli insuperabili passi delle sue antologie greche o latine, disperazione di decine di candidati ad esami anche universitari), quanto poco Giordano, il ‘profe” quasi per antonomasia, fosse stato un impiegato del registro o della lavagna, chiuso nei confini della biblioteca d’un ginnasio di provincia e pronto a scordarsene dopo il trillo della lezione conclusa. No. Bastava che il laureando gli si rivolgesse per una indicazione bibliografica magari sofisticata; che il dottorino che avesse superato la prova scritta dei concorsi ne chiedesse il soccorso per affrontare la temibile prova orale; che soprattutto (e chi scrive lo ha sperimentato) l’intestardito promotore di giornalismo quotidiano o periodico ne chiedesse la collaborazione, perchè la risposta giungesse immediata e nella forma più precisa ed elegantemente opportuna. La verità era che quel professore pronto alla battuta scherzosa ed incline per tutti gli anni della sua vita a taluna giovanile bizzarria nella foggia dell’abito o del gesto, restò fin dall’adolescenza un lavoratore pressochè senza respiro, innamorato della sua fatica e capace perciò d’ornare ogni umano rapporto di quella vocazione di maestro alieno da ogni pedanteria. Amava dire di non conoscere l’entità del suo stipendio, avendone data ai familiari la delega di riscossione, essendo in grado di largamente provvedere a una discreta agiatezza con l’attività privata. Poteva sembrare un’ostentazione compiaciuta, persino talora sgradevole in chi come lui era sempre cosi pronto all’offerta e al dono. Bastava, invece, tendere un poco l’attenzione per cogliere anche in quella strana notizia, distribuita più d’una volta con una specie di voluta aria distratta, il gusto di quella sua didattica agile e disinvolta, il piacere d’una polemica pungente e segreta con i troppi e troppo lamentosi colleghi, gravati da un mestiere non amato. Ma di scuola parlava ben poco Romagnoli, non fosse che per abbandonarsi al ricordo del vecchio Liceo ‘Ariosto”, quello del piccolo tonante preside Teglio e dell’indimenticabile Francesco Viviani grecista insuperato. Di libri, d’autori parlava invece spesso ed a lungo, tranquillamente, a bassa voce, ma con ferma sicurezza di giudizio. Accadeva allora a chi l’ascoltasse di stabilire un involontario confronto tra tante pagine di critica sempre sospesa sul filo d’oscurissimi sensi cosi prossimi a rivelarsi nonsensi, e quelle notazioni luminose ed esatte, contestabili solo a patto di trovare un’uguale conoscenza e chiarezza. Ricordava, pur esente da ricercatezza e da malinconie, certi medici condotti del passato, decisi a guarire il paziente e ad ottenerne la collaborazione; certi ingegneri che chiamavano ‘costruzioni” quelle che oggi (purtroppo) vengono dette ‘contenitori”, cioè implacabilmente rumorosi, gelidi d’inverno e bollenti d’estate. Svelava, insomma, con quell’accanita passione per la dottrina, il segreto della sua didattica, che lo rendeva giovane tra i giovani e divenuta per centinaia di famiglie indispensabile come oggetto di casa. Giordano Romagnoli desideriamo ricordarlo cosi, oggi 6 maggio, ricorrendo l’anniversario della sua scomparsa, avvenuta nel 1986

trovato su la Nuova Ferrara del 2004

Quando mancava l’insegnante titolare il preside Pasquale Modestino mandava lui ,che entrava si accendeva una sigaretta, ci chiedeva dove eravamo arrivati col programma di italiano e cominciava a parlare di episodi privati della vita dell’autore come se lo avesse conosciuto personalmente; cosa che poteva fare per le sue sterminate letture ; le sue lezioni private costavano care, infatti solo Roberto Tassi preparò l’esame di maturità con lui.

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