Franco Giovannelli

Quando l’ho conosciuto io era già famoso come poeta Ferrarese per l’amicizia con Attilio Bertolucci (padre dei registi Bernardo e Giuseppe e poeta a sua volta); era stato scelto dal preside Pasquale Modestino per tenere l’insegnamento di Geografia ai corsi per l’abilitazione all’insegnamento di Lettere a Ferrara.

Subito dopo, iscritto al PRI di Ferrara, ebbi modo di conoscerlo alle riunioni del comitato provinciale del partito come segretario della sezione di Bondeno; lo potete rivedere nel film “la strategia del ragno”

Come poeta

Riluttante a ogni forma di esibizionismo pubblico e cronicamente schivo nel fornire chiavi interpretative della sua opera, incline a occultare gli elementi di cronaca privata e collocando invece in primo piano i suoi scritti nella loro integra nudità, Franco Giovanelli (1916-1994) ha attraversato con il proprio lavoro culturale le fasi salienti di buona parte di questo secolo. Suoi testi sono apparsi, nel tempo, su “Paragone”, “Nuovi argomenti”, “Poeti d’oggi”, “Botteghe Oscure”, “Nuova Civiltà”, “Palatina”, “Emilia-Romagna”. E scrive il critico Antonio Caggiano, in un suo affettuoso ricordo, che Giovanelli «emanò il senso profondo di una didattica interdisciplinare che ebbe in lui una continua presenza come protagonista, stabilendo intorno a sé – per chi lo conosceva a fondo – una sorta di monumento della cultura».
La maggior parte delle poesie di Franco Giovanelli sono riunite in L’arrivo al Borgo, una silloge che raccoglie e riassume, insieme alle liriche, le esperienze intellettuali ed esistenziali dello scrittore. Il volume si articola in quattro sezioni, distribuite nello spazio di un centinaio di pagine. Il primo settore: “La partenza”, rievoca il silenzioso e soffocato tormento che pervade Pianissimo di Camillo Sbarbaro, poeta a cui l’autore dedica un delicato e struggente sonetto alla memoria. Nella seconda parte: “L’arrivo al borgo”, affiora il Giovanelli “civico”, che richiama alla mente il canto epico del Quasimodo di Giorno dopo giorno. Le ultime due sezioni: “Il vivere” e “La ricchezza che cresce”, perseguono alternativamente la discorsività della versificazione in prosa e il rientro nell’ordine della struttura metrica.
Libro fondamentale di Giovanelli è l’antologia La ricchezza che cresce, volumetto prefato da Giorgio Bassani e Lanfranco Caretti e illustrato dal pittore Roberto Rebecchi. Dove appaiono alcuni interessantissimi inediti, in particolare due lettere poetiche: la prima idealmente indirizzata dallo scrittore ad Attilio Bertolucci e la seconda in risposta da questi all’amico ferrarese (testo incluso dal poeta parmense in Viaggio d’inverno, del 1971). «Se poi penso ai classici italiani, – scrive Lanfranco Caretti nella plaquette – direi che Giovanelli si tiene più vicino a Foscolo che a Leopardi, più a Dante che a Petrarca. L’endecasillabo è non a caso il verso che gli è più congeniale, anche se non esclusivo; ed egli lo sa variare dall’interno con grande sapienza ritmica ricorrendo ad abili spezzature o a sagaci legami, pervenendo così ad una dizione ovunque sostenuta, la quale conferisce un tono di vibrante intensità anche al quotidiano e al famigliare, anche al dimesso, cioè realizzando sovente quel “sublime d’en bas” di cui parlava Flaubert».
Fra i molti libri da lui curati, tradotti e prefati, sono almeno da ricordare: Poesie di J. Donne (1944), Sonetti sacri e poesie profane di J. Donne (1963), Poesie di P.B. Shelley (1983), Avventure di Don Giovanni di G.G. Byron (1991) e Satire di G.G. Byron (1993). Ha inoltre pubblicato: Le stagioni (1937), Poesie (1978), L’arrivo al Borgo (1984), Govoni nella critica contemporanea (atti del convegno “Corrado Govoni e l’ambiente letterario ferrarese del primo Novecento”, Ferrara 1984, 1985), Tullio Didero: poeta e narratore (con P. Vanelli, 1988), La ricchezza che cresce (antologia con inediti, prefazione di G. Bassani e L. Caretti, illustrazioni di R. Rebecchi, 1993) e altro ancora. Preziosa è la sua nota alla cartella d’arte illustrata dal pittore Gianni Vallieri (1971).

Tratto dal libro di Riccardo Roversi, 50 Letterati Ferraresi, Este Edition, 2013

Ai posteri l’ardua sentenza

Data: Giovedì, 16 marzo 2006 alle 11:27:23 CET
Argomento: Letteratura
Facendo una piccola analisi retrospettiva, mi chiedevo se, nella seconda metà del ‘900, ci fossero stati romanzieri o poeti italiani degni di passare alla posterità. Non riuscendo a farmene venire in mente alcuno, ho girato la domanda ad Andrea Malaguti, assistant professor al dipartimento di Italiano presso la Columbia University di New York. Di seguito la sua risposta:
“In verità, non ho ancora capito quando mai la buona scrittura, chiara e precisa, sia mai stata di casa in Italia. Ti cito un brano da una rivista del 1939: Un’ attenzione che supera, nei più, chiari momenti, il limite del troppo insistito diletto musicale, per penetrare e vibrare in un mondo sensibile nuovo, dove la consueta logica delle cose comuni pare che si sfaldi in una indeterminatezza continua di postulati, quasi che a ogni passo il terreno che siamo soliti battere minacci di franare sotto il nostro cauto piede. Generica impressione ancora, che rimarrebbe pur magra cosa se si esaurisse in sé, ma che poco a poco, procedendo il lettore fra continue emozioni e reali cadute, la cui colpa è spesso del medesimo poeta, pur giunge a raccogliere, da quell’apparente dissolvimento della realtà, un ordine nuovo, traducibile forse nei termini precisi di una continua conoscenza di morte, prolungata oltre lo stesso avvenimento del fatto fisico, in quanto che è essa un presente dello spirito più che del mondo esterno.
Siamo ai limiti della leggibilità, eppure è Giorgio Caproni a ventisette anni. Se penso che la generazione di Biagi e di Bocca all’epoca era al liceo, mi sento male, evidentemente sapevano diffidare degli insegnanti. Però questo mi da l’idea
dell’importanza della Guida al Novecento, dove invece si privilegiava un certo
senso della realtà. Ma allora perché non si vedono ancora gli scrittori che hanno fatto il liceo negli anni settanta? (Bah, forse perché non siamo negli anni trenta e quindi c’è molta sfiducia nella letteratura-letteratura; ergo si evita di scriver bene per paura di non avere successo e si scrive male per poter vendere, anche se poi i romanzi fanno schifo e la gente li compra solo per farsi vedere a la page: così succede in Francia…)
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E sempre faticoso rapportare il passato col presente, visto che per l’uno la storia ha già fatto la sua ampia tara e per l’altro no. Comunque, per amor di congettura, se la generazione che ha fatto il liceo con la Guida al Novecento di Salvatore Guglielmino alla mano non s’è ancora prodotta in niente di buono, forse è perché l’ansia del successo immediato è tale da non consentire i tempi lunghi e meditativi della letteratura seria. E soprattutto, dagli anni settanta in avanti, non solo non c’è più niente in cui credere, ma nemmeno niente a cui opporsi: la caduta in silenzio dei movimenti studenteschi (o addirittura il passaggio dei loro esponenti ai ranghi di difesa del capitalismo globale) ha tolto anche la voglia di polemizzare. A chi ti opponi, se a scuola t’insegnano solo un sacco di balle da rivendere bene e trovarti un posto grazie a papà?
Il libro deve solo essere accattivante e per essere venduto oggi e buttato nel cestino domani. Ogni insegnante delle varie scuole di scrittura creativa in Italia –conosco Carlo Lucarelli, della Holden di Torino — ti dirà che gli studenti scartano volentieri qualsiasi soggetto originale, qualsiasi storia veramente loro per uniformarsi al modello in vigore: giallo, noir o altro. L’importante è imparare il trucco vincente e pigliare i soldi facilmente (come Baricco, come la Tamaro).
Oggi le crisi che stimolavano tanta letteratura in passato non sono più una novità, ma uno stile di vita a cui ci siamo adattati; siamo tutti uomini senza qualità senza bisogno della filosofia di Musil e senza l’intelligenza per capirla. Quando l’unica cosa seria da scrivere, come suggerisci tu, è un saggio scientifico e ben documentato e meditato, alla Luciano Gallino, che ti porta a concludere che il mondo fa schifo e sarà sempre peggio, visto che fa comodo a tanti e che comunque nessuno, anche volendo, potrebbe metterci mano, a che serve scrivere romanzi? A fare il buffone in tv assieme a Maurizio Costanzo?

Andrea Malaguti

Media

Le persone intelligenti sono quelle che fanno analisi corrette DOPO che un evento si è verificato; quelle geniali ci riescono PRIMA

La frase si può applicare (ad esempio) a tutti quelli che scoprono
solo ora le inadeguatezze di certe scelte politiche; naturalmente i
media (attenti sempre e solo alla “attualità” si guardano bene dal
pubblicizzare gli articoli che prevedevano soluzioni alternative (allora
incomprensibili),  ma oggi più che mai necessarie.