Ad oggi, una popolazione vecchia è sinonimo di crisi, di retrocessione, di difficoltà economiche, sociali, culturali e sanitarie. L’Italia ne è la più ovvia dimostrazione: poche nascite, molti anziani e tante conseguenze negative. In realtà la situazione è molto più complessa e profonda di quanto si possa credere.
Oggi una persona si definisce anziana al suo ingresso alla soglia dei 65 anni di età compiuti. Fino a qualche anno fa questa soglia descriveva a pieno lo stato dell’anziano, in termini di età media, di stato di salute e speranza di vita.
D’altra parte, negli ultimi anni si è assistito ad un allungamento della vita media, ad un miglioramento delle condizioni di salute in età avanzate e, anche, ad uno slittamento in avanti dell’età pensionistica. Il 65enne di oggigiorno non è lo stesso di 70 anni fa.
Per questo motivo è necessario un adattamento, e magari anche un cambiamento, degli attuali indici di struttura, in modo tale da poter tener conto dell’evoluzione a cui, periodicamente, è soggetta una popolazione.
L’aggiornamento degli indici demografici, infatti, non solo permette di ottenere un quadro più veritiero, realistico ed affidabile dell’invecchiamento all’interno di una popolazione ma, rappresenta anche il primo passo verso una nuova visione ed interpretazione di tale fenomeno, come quella proposta dall’invecchiamento attivo.
A che età si diventa vecchi?
Il bisogno di un aggiornamento delle misure di invecchiamento era già stato notato anni fa, come testimoniano De Vergottini, Billiter, Laslett, Cagiano de Azevedo, Livi Bacci e molti altri che avevano già formulato nuove interessanti proposte per far fronte ai cambiamenti della popolazione.
Confrontando la piramide delle età italiana di 70 anni fa con quella attuale del 2022 è possibile osservare come la struttura della popolazione italiana sia notevolmente mutata (figura 1).
