Un paio d’anni dopo il lancio della 600 la FIAT, forte del 70% delle immatricolazioni che deteneva, avviò lo studio di un nuovo modello da inserire tra la 600 stessa e la 1100. Anche con la possibilità di una possibile comunanza progettuale simile a quella dei modelli precedenti della SIMCA, venne messo così in cantiere il progetto 122, che prevedeva una vettura completamente nuova (mantenendo tuttavia trazione e motore posteriore). Il progetto venne però abbandonato dalla casa torinese, mentre una delle proposte di stile del progetto 122 fu comunque utilizzata dalla Simca, all’epoca consociata alla Fiat, per la 1000 che uscirà sul mercato a fine 1961.
La Fiat, per contenere gli investimenti, ripiegò su un’evoluzione della 600 da inserire nella categoria di veicoli immediatamente superiore.
Si iniziò così a lavorare su un progetto che doveva essere economico ma remunerativo allo stesso tempo, venne difatti utilizzata come punto di partenza la struttura base della 600 (inclusi tetto e cellula abitativa) e la meccanica (rivista in molti particolari, come le sospensioni posteriori ed il motore), per realizzare una nuova utilitaria che si proponeva come modello più raffinato rispetto alla illustre progenitrice.
Differenze e migliorie rispetto alla 600
Il lavoro di Dante Giacosa (capo progettista Fiat dell’epoca) fu semplice ma innovativo, bastò realizzare un frontale più alto e squadrato che incorporava i fari anteriori, i quali passarono da 13 a 17 cm di diametro (erano gli stessi della 1100 D) mentre i lamierati esterni delle portiere vennero ridisegnati, il parabrezza venne ampliato e i finestrini posteriori modificati per ottenere una maggiore visibilità. La nuova piccola coda posteriore, aggiunta per ragioni aerodinamiche ed estetiche, si rivelava in realtà sconveniente se si doveva raggiungere il motore, in quanto bisognava smontare il fascione portatarga. Questi accorgimenti portarono ad aumentare la lunghezza della carrozzeria che passò a 357,5 centimetri, 36 in più della 600. Dell’antenata, oltre all’analoga impostazione ed architettura, la 850 mantenne anche le ruote da 12 pollici con relativi coprimozzo, adottate sulla versione “fanaloni” della 600, ovvero l’ultimo modello prodotto in affiancamento con la neonata 850. Con l’entrata in produzione della 850, la 600 fu modificata nella carrozzeria, adottando le porte del modello nuovo al posto delle pericolose portiere definite erroneamente controvento, che in realtà si aprivano a favore di vento.
L’abitacolo, benché fosse strutturalmente identico a quello della 600, era in realtà maggiormente spazioso e più ricco, bastò infatti disegnare una plancia più moderna e rivestire il tutto in materiale plastico (antiriflettente) al posto della lamiera; un’importante novità fu l’introduzione di un impianto di riscaldamento efficiente che non immetteva nell’abitacolo l’aria calda e maleodorante del motore, ma che disponeva di un radiatore proprio. Queste caratteristiche resero la vettura agli occhi del pubblico un enorme passo avanti rispetto alla 600.
Anche per quanto riguarda la meccanica i progettisti decisero di non abbandonare il vecchio Fiat 100 quattro cilindri raffreddato ad acqua seppure vi apportarono sostanziali modifiche, ridisegnarono la testata e l’albero a camme e aumentarono la cilindrata dai 767 della 600D a 843 centimetri cubici (da cui il nome 850) il che fece ottenere un numero maggiore di cavalli, da 29 a 34 (questo consentiva di toccare i 120 chilometri all’ora alla versione “Normale”, che diventavano 125 per la “Super”). Ulteriori cambiamenti vi furono con l’introduzione di un nuovo braccio a “Y” che sorreggeva il motore, montato in posizione arretrata rispetto alla 600. L’impianto frenante di questa prima serie, ovviamente a comando idraulico, manteneva il classico schema a tamburo sulle 4 ruote ma debitamente potenziato in virtù dell’aumento di peso e prestazioni rispetto alla 600.
Al momento del lancio nel maggio del 1964 erano disponibili due versioni, la Normale da 34 CV (alimentata a benzina normale), e la Super da 37, (alimentata a benzina super, con maggior numero d’ottano). I due modelli erano identici. L’unico fattore discriminante era una targhetta, posta nel vano motore, recante la sigla 100G000 per la versione Normale, 100G002 per la versione Super, che aveva anche un adesivo specifico sul lunotto (la “u” di Super incorporava una goccia di carburante indicante quale benzina andava usata).
La mia era targata FE 93000, acquistata nel 1966 come prima e unica auto di famiglia.
Qui siamo a
Riolunato (Ardondlà in dialetto riolunatese[3]) è un comune italiano di 681 abitanti della provincia di Modena, in Emilia-Romagna, situato a sud del capoluogo. Fa parte dell’Unione dei Comuni del Frignano, che ha il proprio capoluogo a Pavullo nel Frignano. Il territorio, la cui altitudine va dai 620 ai 2165 m s.l.m., è percorso dall’alto Scoltenna e da numerosi affluenti. È dominato a sud dal crinale appenninico sul quale emerge la vetta del monte Cimone. L’abitato si trova sulla riva di un piccolo lago artificiale creato da una diga che alimenta una centrale idroelettrica. Il patrono è San Giacomo.
Il toponimo deriverebbe, secondo alcuni, dal corso del fiume che lo attraversa, lo Scoltenna, il quale nel tratto circostante al paese ha un andamento vagamente associabile alla forma della Luna.
Riolunato è nota, grazie all’autore francese Albert Gallois che vi visse per un certo periodo della sua vita, per essere stato uno dei primi comuni in Italia ad ospitare un’associazione esperantista. A Riolunato infatti sono presenti ben due oggetti legati all’esperanto: Piazza Esperanto (A ricordo del Congresso Internazionale Esperantista svoltosi a Riolunato nell’anno 1903), ed una targa in lingua esperanto che ricorda Gallois.
A questo proposito mi sono sempre chiesto come mai tale lingua (artificiale come la moneta) non è mai stata adottata per l’Europa…
Un pensiero riguardo “Fiat 850”